Come Salvarsi dal Covid Sotto le Bombe Nucleari
Agenzia federale per la gestione delle emergenze, dipendente dal governo degli Stati uniti – ha aggiornato le istruzioni alla popolazione su come comportarsi in caso di attacco nucleare. Le nuove istruzioni tengono conto del Covid-19, dei conseguenti lockdown e delle norme da seguire per proteggersi dal virus.
Per essere pronti quando viene lanciato l’allarme per un imminente attacco nucleare – avverte la Fema – dovete sapere che «a causa del Covid-19 molti posti, da cui passate per andare al lavoro e ritornare, possono essere chiusi o non avere regolari orari di apertura». Dovete quindi individuare prima «i migliori luoghi in cui ripararsi, che sono gli scantinati e i piani centrali di grandi edifici».
In tali istruzioni la Fema ignora quali sono gli effetti reali (scientificamente accertati) di un’esplosione nucleare. Anche se le persone in fuga sono abbastanza fortunate da trovare un posto non soggetto a lockdown per il Covid, in cui ripararsi, non hanno comunque scampo. Lo spostamento d’aria dell’esplosione, con venti di 800 km/h, provoca il crollo o lo scoppio anche degli edifici più solidi. Il calore fonde l’acciaio, fa scoppiare il cemento armato. Anche le persone che hanno trovato «i migliori luoghi in cui ripararsi» sono vaporizzate, schiacciate, carbonizzate.
Gli effetti distruttivi di una bomba nucleare da 1 megaton (pari alla potenza esplosiva di 1 milione di tonnellate di tritolo) si estendono circolarmente fino a circa 14 km. Se a esplodere è una bomba da 20 megaton, gli effetti distruttivi si estendono in un raggio di oltre 60 km.
In tale situazione la Fema si preoccupa di proteggere le persone dal Covid-19. Quando viene lanciato l’allarme nucleare, avverte, «informatevi con le autorità locali su quali rifugi pubblici sono aperti, poiché possono essere stati delocalizzati a causa del Covid-19»; al momento dell’evacuazione, «per proteggere voi e la vostra famiglia dal Covid-19, portate con voi due mascherine a persona e un igienizzante per le mani che contenga almeno il 60% di alcol»; all’interno del rifugio, «continuate a praticare il distanziamento sociale, indossando la mascherina e mantenendo una distanza di almeno 6 piedi (quasi 2 metri) tra voi e le persone che non fanno parte della vostra famiglia».
Tale scenario presuppone che, in caso di allarme nucleare, i 330 milioni di cittadini statunitensi non siano presi dal panico ma, mantenendo la calma, si informino su quali rifugi sono aperti, quindi si preoccupino anzitutto di proteggersi dal Covid-19 portando con sé mascherine e igienizzanti e, una volta nel rifugio, mantengano il distanziamento sociale col risultato che, in un rifugio capace di ospitare mille persone, ne verrebbero ammesse 200 mentre le altre resterebbero fuori.
Ammesso per assurdo che le persone seguissero le istruzioni della Fema per proteggersi dal Covid-19, esse sarebbero comunque esposte alla ricaduta radioattiva in un’area molto più vasta di quella distrutta dalle esplosioni nucleari. Un numero crescente di persone, apparentemente illese, comincerebbe a presentare i sintomi della sindrome da radiazioni. Non esistendo alcun trattamento possibile, l’esito è inevitabilmente fatale.
Se le radiazioni colpiscono il sistema nervoso, esse provocano forte emicrania e letargia, subentra quindi lo stato di coma, accompagnato da convulsioni, e la morte sopravviene entro quarantotto ore. In caso di sindrome gastrointestinale da radiazioni, la vittima è colpita da vomito e diarrea emorragica, accompagnati da febbre alta e muore nel giro di una o due settimane.
In tale scenario la Fema si preoccupa anche dello stato mentale delle persone. Essa avverte che «la minaccia di una esplosione nucleare può provocare ulteriore stress a molte persone che già oggi sentono paura e ansia per il Covid-19». Raccomanda quindi di seguire le istruzioni su come «gestire lo stress durante un evento traumatico». Fa quindi capire che, in caso di attacco nucleare, i cittadini statunitensi sarebbero assistiti da psicologi che, mentre esplodono le bombe nucleari, insegnano loro a gestire lo stress convincendosi che, grazie alla Fema, si sono salvati dal Covid.
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This article was originally published on Il Manifesto.
Manlio Dinucci is a Research Associate of the Centre for Research on Globalization.
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